La scuola della generazione Z

La cosa che mi colpisce di più di Roberta è il sorriso. Non capita di frequente quando ci sono io, perché spesso la sua timidezza la frena, come d’altronde accade alla maggior parte dei ragazzi di prima superiore, alle prese con un mondo nuovo. Però quando questo mondo diventa più familiare e si fa maggior conoscenza, ecco che magicamente emergono molteplici sfumature nella voce e nel carattere, tant’è da chiedersi dove fossero nascoste prima.
Così Roberta, che a prima vista sembra silenziosa e riservata, sorprende i nuovi arrivati con una personalità viva e prorompente. Ancora dopo così tanti mesi talvolta mi stupisce con il suo grande interesse e la voglia di imparare, come se ogni compito fosse una sfida da vincere che lei gelosamente deve portare a termine da sola. È molto bello vedere che da una ragazzina ancora così giovane e inesperta nella vita possa uscire tanta determinazione. Ma questi sono i ragazzi in fondo, meravigliosamente imprevedibili.
Poco tempo fa, la professoressa di sostegno che segue Roberta mi racconta che un pomeriggio la ragazza ha acceso il computer, aperto il programma per il disegno CAD che usiamo a lezione e ha realizzato un lavoro che non avevo mai assegnato a nessuno. Mi spiega così che Roberta aveva visto con il fratello maggiore un disegno pubblicato sul sito della scuola che le era piaciuto molto e aveva deciso di rifarlo, tale e quale.
Scopro che il lavoro che aveva svolto corrispondeva alla rappresentazione della sequenza di Recamán, cioè una serie di elementi curvilinei a gruppi concentrici definiti da una relazione ricorsiva: insomma, un compito di matematica assegnato da un professore ai suoi alunni, uno tra i tanti che si fanno a scuola e che probabilmente loro hanno svolto senza troppo scomporsi.
Se vogliamo adesso analizzare la questione da un altro punto di vista, un punto di vista più sottile e spesso posto in secondo o terzo piano dai più, quel lavoro di matematica che i ragazzi hanno realizzato, forse con il pensiero di accontentare il professore e prendere un bel voto, nasconde qualcosa di più: è stato in realtà una forma di aiuto inconsapevole e generoso, di stimolo e di ispirazione per una loro coetanea, di cui non conoscevano neanche il nome.
Un episodio così semplice può passare inosservato, perché siamo spesso presi dal lavorare, dal produrre e dall'imparare nozioni, tanto che a volte facciamo anche fatica a soffermarci sul significato più profondo che queste stesse conoscenze hanno, benché vengano insegnate ai ragazzi con tanto ardore.
Perciò condivido la storia di questi ragazzi che, seppur senza conoscersi, si sono inconsapevolmente aiutati a vicenda. Questo è uno dei motivi per cui la scuola è ancora così fondamentale in un mondo in cui le nozioni sono ormai a portata di mano. È una delle ragioni per cui i professori ancora supportano gruppi di adolescenti con gli ormoni a mille, pronti a fare la guerra per via di un patto non verbale, implicitamente segnato da entrambe le parti, per cui gli alunni devono chiassare e i docenti devono placare.
Questa guerra il più delle volte si risolve silenziosamente, senza grossi tumulti, ma i vincitori, in questo ambiente, si trovano da entrambe le parti e sono coloro che avranno capito che, prima ancora delle nozioni, a scuola si deve insegnare a vivere.
La storia di Roberta e i ragazzi è un esempio di vita, è un esempio di inclusione, è un esempio di collaborazione, che purtroppo oggi non è ancora abbastanza. È un esempio di come dietro ogni compito che noi svolgiamo, per quanto noioso e pesante ci possa sembrare, c'è un significato più profondo.
Non si va a scuola per imparare a memoria ma per capire, per riflettere, per ragionare, per ampliare i nostri orizzonti, perché più saranno grandi e più sapremo osservare oltre le apparenze, sapremo crescere e migliorare. Cerchiamo di vivere ogni lavoro come un'opportunità, dal momento che, come questa storia racconta, non possiamo mai sapere fino in fondo che conseguenze avrà il nostro operato.
Spesso ci troviamo ad agire per abitudine, per dovere, perché ce lo dicono gli altri e senza pensare che stiamo invece lavorando per il nostro futuro. Eppure ogni istante del nostro tempo può cambiare il percorso che stiamo scrivendo e anche quello di persone che non conosciamo. Siamo circondati da molte più relazioni di quanto possiamo immaginare e questo ci fornisce la grande occasione di dare e ricevere qualcosa. Inoltre è importante sapere che più cose avremo visto, approfondito, studiato e più sarà facile capire ciò che ci circonda. E si sa che molto spesso ciò che ci circonda ci spaventa, perché è sconosciuto, perché è diverso.
Più cose avremo imparato e più ci sarà chiaro che il diverso non esiste perché in fondo non esiste l’uguale; c'è solo una grande varietà di persone, caratteri, opinioni, gusti, interessi: ognuno è unico all'interno di questo guazzabuglio e quando ci si trova a collaborare, uniti da un fine comune, le interazioni sono le stesse per tutti.
Ciascuno di noi è unico come Roberta, che con i suoi occhioni così speciali riempie il cuore di chi le sta attorno. È unico come Giovanni, che va in ansia se parla con i professori, come Sara che fa così tanta fatica a prendere la parola in classe; è unico come Luca che con quei capelli attira tutte le ragazzine della scuola e poi balbetta davanti all’unica persona che gli piace. In fondo nessuno di noi è definibile da un insieme di equazioni matematiche con risposte univoche, siamo esseri complessi e non deve esistere una classifica umana che categorizza le persone.
Imponiamoci di vivere ogni cosa in maniera attiva, con consapevolezza e dedizione: sono queste le nozioni più importanti che la scuola deve dare ai ragazzi, in un mondo come quello di oggi, in cui tendiamo a imparare tutto a memoria e a nasconderci nella massa, in nome di un principio di normalità che neanche esiste.